Dieta vegetariana: piccola discussione su aspetti etico-morali

Dieta vegetariana: piccola discussione su aspetti etico-morali

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Con il presente articolo vorrei chiarire alcuni aspetti etico-morali  sul vegetarianismo tralasciando magari quelli più squisitamente nutrizionali che mi impegnerò di trattare.  Esprimo massimo rispetto d’opinione  perchi  non sarà in linea con quello descritto in seguito. È dunque il caso di introdurre alcune definizioni che precisino i vari insiemi di vegetariani.Come premessa, tutte le diete vegetariane hanno in comune l’astensione completa dal consumo di carne e di pesce, cioè il consumo diretto di animali, mentre il vegano (vegetaliano) esclude ogni fonte animale (attenzione: anche il miele è alimento di origine animale).

I vegetariani possono essere suddivisi in

Vegetariani assoluti – Sono coloro che ritengono inviolabile il diritto degli animali alla vita.
Vegetariani patosensibili – Sono coloro che ritengono inviolabile il diritto di Mammiferi e Uccelli alla vita.
Appartengono alla seconda categoria coloro che si astengono dalla carne, ma si cibano di pesce o di invertebrati (per esempio un piatto di cozze).

Nella popolazione la propensione a passare da vegetariani patosensibili a falsi vegetariani è molto grande; chi si dichiara vegetariano e non mangia carne pensando al povero vitello ucciso nel mattatoio è spesso incline a fare eccezioni per il pesce (per esempio il vegetariano patosensibile è spesso favorevole alla pesca, ma contrario alla caccia); tali eccezioni vengono saltuariamente applicate anche alla carne (per motivi di “necessità”) e il soggetto entra nelle fila dei falsi vegetariani.

Questa considerazione è molto importante a fini statistici in quanto molti sono convinti di essere vegetariani “perché non mangiano carne”. In quest’ottica non è vegetariana la dieta macrobiotica che non esclude il consumo di carne e soprattutto quello di pesce.Non sono vegetariani nemmeno quelli che lo sono “di massima”, salvo poi, quando pranzano fuori, non farsi problemi di fronte a un bel piatto di pasta al ragù.Da un punto di vista pratico è piuttosto superata la suddivisione delle diete vegetariane fra coloro che assumono comunque proteine animali: ovolattovegetariani, uova, latte e latticini, lattovegetariani, latte e latticini, ma non uova, ovovegetariani, uova, ma non latte e latticini.

In base a quanto riportato sul rapporto Eurispes 2014, in Italia si contano circa 4,2 milioni (ovvero circa il 7,1% della popolazione generale) fra vegetariani (6,5%) e vegani (0,6%); la rilevazione riportata nel rapporto dell’anno precedente parlava invece di 3 milioni e 720mila persone. Si registra quindi un aumento di circa il 15%. Va detto, peraltro, che le varie associazioni stimano cifre maggiori, ovvero 7 milioni di persone sarebbero vegetariane (circa 6,3 milioni) o vegane (0,7 milioni).La scelta vegetariana sembra essere in crescita anche in altri Paesi fra cui la Germania e la Gran Bretagna. Uno dei Paesi che conta il maggior numero di persone vegetariane/vegane è l’India (le stime parlano di un 30% circa della popolazione); in quest’ultimo caso pesano molto anche le scelte religiose di quella nazione.Per quanto concerne le motivazioni della scelta di una dieta vegetariana o vegana, il rapporto Eurispes indica che circa un terzo delle persone che ha scelto questi regimi alimentari lo ha fatto per rispetto nei confronti degli animali; circa un quarto indica motivazioni salutistiche, mentre poco meno del 10% afferma che la scelta è dettata da motivazioni ambientalistiche.Come si può notare, i numeri riportati non sono affatto trascurabili; certo, si può capire l’entusiasmo con cui i vegetariani vorrebbero che tutti lo diventassero, ma diciamoci la verità, simili numeri sono assolutamente irrealistici. Non è chiaro innanzitutto come l’indagine dell’Eurispes sia stata condotta (per esempio: “lei mangia carne bovina o pollame?”), ma è evidente a chi ha un minimo senso statistico che il dato è enormemente gonfiato (i veri e stabili vegetariani non sono più del 2% della popolazione).Basta guardarsi intorno e contare i vegetariani fra la cerchia delle persone che si conoscono.Basta andare nei ristoranti e chiedere ai ristoratori quanti vogliono un menu vegetariano.Basta (e questa è la prova decisiva) verificare quanti ristoranti vegetariani esistano. Se il 7% (addirittura l’11-12% secondo le stime delle associazioni) della popolazione seguisse una dieta vegetariana (o vegana) fiorirebbero esercizi di ristorazione vegetariani; in realtà ce ne sono pochissimi e si trovano soltanto nelle città che garantiscono comunque un numero sufficiente di clienti tale da non far fallire l’attività.(forse in futuro le cose potrebbero cambiare)

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Vegetariani e concezione della vita

I vegetariani necessariamente devono ammettere una piramide animalista. Infatti non è possibile dare una risposta in assoluto esaustiva alla domanda: “tu salvi gli animali e uccidi le piante. Perché?”.

Le risposte possono essere diverse ed è importante considerare solo quelle semplici (arrampicarsi sugli specchi non è mai sintomo di chiarezza) e sensate. Tralascio per esempio la banale risposta “perché le piante sono meno importanti degli animali” perché analogamente un non-vegetariano potrebbe concludere il discorso dicendo che “gli animali sono meno importanti dell’uomo”.

1) Perché le piante mi servono per nutrirmi, non posso morire di fame.Questa risposta considera il concetto di vita. Premesso che una persona coerente si nutrirebbe solo di frutti e di semi (per non uccidere le piante), supponiamo che ci si inventi il carnivoresimo: tu vuoi salvare gli animali, bene io voglio salvare le piante; mi nutro solo di carne, pesce, latte, uova, formaggi e frutta. Perché il vegetarianesimo sì e il carnivoresimo no? Perché gli animali sì e le piante no?

2) Perché le piante non soffrono come gli animali.Visto che per il punto 1 il concetto di vita non basta, questa risposta considera anche il concetto di sofferenza. Qui entra in gioco la patosensibilità del soggetto: si uccidono le piante perché non soffrono. Bene, allora basta uccidere un animale senza farlo soffrire e ci se ne può cibare.

Bastano queste semplici considerazioni per capire che il vegetarianesimo può essere una scelta valida come l’alimentazione onnivora, è una scelta personale, assiomatica, che non si può rendere “dimostrabile”. In altri termini, gli unici vegetariani razionali non sono quelli che pretendono di dimostrare l’eticità, l’umanità ecc. della loro posizione, ma solo quelli che capiscono che c’è una scala biologica e ogni individuo, assiomaticamente, si pone a un certo punto, al di sopra del quale la vita conta, al di sotto no.Si può considerare un punto di svolta della scala sugli animali amorevoli. Un cane, che sa amare, non è una carota, semplice. E sul fatto che una mucca possa amare veramente qualcuno ho dei forti dubbi: l’amore non è dipendenza vitale (cioè cercare cibo e protezione) o istinto alla riproduzione, è molto più complesso, basato sui sentimenti che prova chi ama. Penso che chiunque ritenga che una gallina o una mucca sappiano dare affetto disinteressato sia razionalmente fuori strada… Un cane lo fa.

Vegetariani e qualità della vita

Nei Paesi più ricchi, il benessere tende (per fortuna) a ridurre le sofferenze ed è naturale, come contropartita, che la gente sia sempre meno capace di gestire dolore e morte; fra 200 o 300 anni forse tutti saranno vegetariani, ma oggi pretendere di porre il punto di svolta in cui la vita diventa sacra appena si passa al regno animale è mediamente penalizzante; il termine mediamente è fondamentale:

Il gusto – I vegetariani dovrebbero dimostrare che è possibile un’alimentazione ricca e gustosa per tutti (non solo per loro), con ristoranti in grado di attirare anche chi non è vegetariano; cosa che ora non accade, da un lato dimostrando che il numero dei veri vegetariani è basso (non si può considerare vegetariano chi ogni tanto fa eccezioni, magari con un bel piatto di spaghetti alle vongole quando è in vacanza), dall’altro che comunque non è così facile essere vegetariani.
Rapporti sociali – Un’alimentazione vegetariana complica i rapporti sociali; come può una coppia di genitori non allineati (un vegetariano e uno no) allevare un figlio? Lo si fa diventare vegetariano oppure no? Questo problema appartiene a quello più generale della compatibilità fra coniugi, ma, essendo i vegetariani un numero molto ristretto nella popolazione, limita le relazioni sociali. Stesso discorso per l’amicizia: invitare a cena amici vegetariani non è facilissimo e comunque rende innaturale l’atmosfera di chi non è abituato a esserlo.
Figli e animali domestici – Senza saperlo, i vegetariani si pongono limitazioni anche personali. Provate a chiedere a un vegetariano come alleverebbe suo figlio; se è coerente, risponderebbe “con una scelta vegetariana” e fin qui tutto bene. Poi però si scopre che il soggetto ha un cane o un gatto che nutre con prodotti che fanno largo uso di animali macellati! Alcuni vegetariani arrivano a sostenere che “si possono abituare cani e gatti a un’alimentazione vegetariana”, ma ciò è quasi follia. Altri sostengono che loro possono scegliere di vivere senza carne, il cane no. Un vegetariano può contestare il mio “egoismo” perché, per avere quella che io penso essere la mia massima qualità della vita, mi cibo di carne. D’accordo, ma lui perché ha un cane, non è certo obbligato a farlo. Se lo tiene è perché il cane gli dà qualcosa, migliora la sua vita. E allora per migliorarla, lui, tramite il cane, porta alla macellazione di animali. Il fatto che il cane, anziché acquistarlo, lo si prenda al canile o lo si raccatta per strada non sposta di una virgola il discorso. Se un vegetariano è coerente, dovrebbe sostenere che possedere cani è sbagliato perché di fatto si aumenta il consumo e la macellazione di carni. Quindi se fosse coerente si asterrebbe dall’avere animali domestici carnivori, terrebbe un erbivoro.

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La religione – Se vuole essere coerente, un vegetariano non può essere cristiano, musulmano o ebreo perché nelle religioni citate Dio non condanna il consumo di carne, anzi lo accetta (vedi moltiplicazione dei pani e dei pesci di Gesù).
Il controllo del cibo – Da ultimo, la coerenza può portare a livelli estremi di controllo: come può un vegetariano che mangia in un ristorante normale sapere (veramente) se nel pane non è contenuto strutto (la cosa diventa ancora più critica per chi segue la dieta vegana, visto che uova e latte sono contenuti in minima parte in moltissimi alimenti all’apparenza “non animali”). Concretamente, c’è il rischio di un isolamento notevole, a meno di non essere vegetariani di massima e quindi falsi vegetariani.

Dieta vegetariana: alimentazione e salute

Poiché aboliscono solo l’uso di quegli alimenti che comportano l’uccisione dell’animale, le diete vegetariane, non operando restrizioni particolari sui macronutrienti, possono essere perfettamente accettate. In realtà non si possono nemmeno chiamare diete, ma, più propriamente, scelte esistenziali che limitano (in misura nemmeno così eclatante) solo il ricettario degli alimenti a disposizione. Resta però poi il problema di quanto e cosa mangiare. In realtà basta che il vegetariano si faccia una coscienza alimentare e si costruisca una dieta equilibrata, impiegando uova, latte, latticini, proteine vegetali (legumi, soia ecc.) e grassi vegetali (non solo oli, ma anche frutta secca come noci e arachidi; infatti, non consumando pesce, spesso il vegetariano deve fare attenzione ad assumere una giusta quantità di acidi grassi essenziali). Non altrettanto dicasi per i vegani.

Agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso ci fu chi scelse la strada del vegetarianesimo per sconfiggere il cancro. A quasi 40 anni di distanza le evidenze dimostrano che non c’è nessuna protezione e che il mistero cancro è lungi dall’essere semplicisticamente risolto.  Da un punto di vista salutistico, il fatto di non cibarsi di carne non migliora granché il quadro e quindi “apparirebbe” più coerente la scelta vegana. Infatti nelle uova, nel latte, nei latticini (ma anche nei grassi vegetali e nell’olio di oliva) sono contenuti gli stessi grassi saturi delle parti grasse della carne.

Uno dei motivi per cui una piccola parte della popolazione passa dal vegetarianesimo al veganesimo è costituita dalla condizione in cui vengono allevati gli animali destinati all’alimentazione.

In realtà non è necessario essere estremisti, basterebbe essere pratici e razionali. Gli allevamenti intensivi si combattono con la banale argomentazione che le carni che propongono sono organoletticamente pessime,spesso  insipide o legnose, rispetto a  fonti proteiche animali come tonno, salmone o selvaggina. Polli e bistecche si mangiano se la provenienza assicura un’ottima qualità, il che equivale a condizioni di allevamento “ruspanti” e non penalizzanti per l’animale. Il messaggio da far filtrare nella popolazione è dunque: astenetevi dal consumare prodotti d’allevamento intensivo, visto che costano comunque e vi danno pochissimo. Inoltre, se le persone adottassero un regime normocalorico, ci sarebbe comunque una riduzione del consumo di carne (e di altri cibi).

L’ultimo buon motivo per diventare vegetariani: poiché gran parte (peraltro percentuale sempre sovrastimata nei documenti animalisti) delle risorse agricole è destinata alla produzione di cibo per gli animali che mangiamo, se non li mangiassimo salveremmo il pianeta, niente foreste distrutte per far posto ai campi  (Basta vedere la ricerca di Cardiff che mostra che l’impatto ambientale non è migliorato da un’alimentazione socialmente vegetariana).

Premesso che le foreste sono distrutte anche dai campi di frumento destinati ai vegetariani, alla fine si scopre che ogni cosa che noi mangiamo, essendo in troppi sul pianeta, comporta problemi. Che senso ha ridurre di un 10% il consumo di carne, quando fra pochi decenni, se non facciamo qualcosa, saremo il doppio (aumento dell’antropentropia)? E francamente il 10% è già tanto perché non si può certo utopisticamente pensare che nel giro di qualche anno tutti diventino vegetariani (fra l’altro, l’economia insegna che quando si spegne bruscamente un motore economico il sistema va in crash).

Grazie per l’attenzione